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PANGEA Numero 2 Anno 2020





















         Fig. 1. Diapositiva presentata da Pesaro (Politecnico di Milano) al Convegno della Fondazione Cariplo del 2014 che dà  una
         chiara definizione del tema “indicatori di resilienza”



         Studi recenti a livello generale confermano la criticità delle risorse idriche sotterranee di estese aree nel mondo. Ad
         esempio un esame globale dello stato delle riserve idriche nel mondo, compiuto da  Richey e al. (2015) con l’ausilio
         di immagini satellitari, permette di evidenziare che una rilevante percentuale delle aree continentali  versa in
         condizioni critiche.

         Esse  si concentrano (come ad esempio quelle della valle dell’Indo) ai margini di quelle già desertiche;  non è
         sfuggito allo studio delle riprese satellitari  che in questi settori si manifesta una accentuata tendenza dei terreni
         superficiali verso l’inaridimento.

         La convergenza di fattori climatici con elementi antropici, legati sia all’incremento demografico sia alle esigenze
         sempre maggiori di acqua non inquinata è una caratteristica che associa queste zone, alcune delle quali, come
         quelle statunitensi sono ben conosciute e monitorate.

         Sono risultati  invece isolati  e quasi marginali i casi in cui la riserva idrica contenuta negli acquiferi va aumentando.

         Queste notazioni portano sicuramente a una svolta nel modo di analizzare l’evoluzione della consistenza delle
         risorse idriche.  Infatti si rileva che l’attenzione dei gestori della risorsa si è finora concentrata sull’analisi del
         bilancio idrico pluriennale, nella convinzione che sia sufficiente ottenere dai dati esistenti un’indicazione “media”
         della differenza fra afflussi e deflussi all’aerea in esame per caratterizzare lo stato della riserva di base, cioè del
         volume di acqua immagazzinato nel sottosuolo nei terreni acquiferi, che fornisce alimentazione agli acquedotti  e
         all’agricoltura.

         Secondo questa visione è significativo il bilancio idrico medio su scala decennale (o meglio ventennale) fra afflussi
         di acque che vi convergono e deflussi. Se questo bilancio risulta positivo e vede quindi prevalere l’alimentazione (in
         genere da piogge e sistemi irrigui) rispetto alle perdite, che avvengono ad esempio tramite  evaporazione e
         drenaggio da fiumi o da pozzi  degli acquedotti, il sistema vede incrementare la propria riserva idrica e quindi può
         utilizzare il surplus per attività idroesigenti. In caso contrario è necessario ricorrere a risorse esterne per
         compensare le perdite.

         La correttezza di questo criterio di valutazione generale è ormai assodata da studi  basati su una consistente mole
         di dati.

         Quando invece si volesse compiere un’analisi previsionale, questo metodo non risulterebbe sufficiente. Infatti
         sarebbe necessario tener conto del fatto che la storia delle acque sotterranee di un sito contempla sempre  periodi
         di buona consistenza alternati a momenti critici, in cui il livello delle falde si abbassa e le riserve tendono
         all’esaurimento.



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