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PANGEA Numero 7 Anno 2021
EDITORIALE
Domenico Antonio De Luca
Il cambiamento climatico e il negazionismo ascientifico
Viviamo ormai in un epoca in cui essere negazionisti, essere cioè un NO- qualcosa ( NO-Green pass,
NO-Vax, i più recenti) sembra diventata una moda. Certo è comprensibile, e in alcuni casi benefico, il
fatto che una parte dell’opinione pubblica non si allinei, per vari motivi, al pensiero ufficiale, che spes-
so appare imposto da un governo o da fantomatici poteri forti che governerebbero il mondo. Questa
moda diventa però meno comprensibile quando a seguirla sono personaggi pubblici o, ancora peggio,
scienziati di una certa levatura.
Nello specifico ci si riferisce alla posizione assunta da alcuni scienziati (tra i quali molti nomi italiani)
per i quali il cambiamento climatico non sarebbe in atto, o, pur ammettendo che esso esista, non sa-
rebbe imputabile a fattori umani. Da notare che molti di questi scienziati non sono specialisti della ma-
teria in oggetto (climatologia, ad esempio) ma spesso sono fisici teorici di particelle subatomiche, bio-
logi, matematici e così via.
E’ evidente che un simile negazionismo ascientifico, se prendesse piede, non sarebbe privo di conse-
guenze in quanto rallenterebbe tutte le possibili azioni per contrastare gli effetti negativi del cambia-
mento climatico.
Intanto possiamo cominciare con il chiederci quanto gravi sarebbero gli effetti del cambiamento clima-
tico .
Per la maggior parte degli scienziati specialisti in materia, riprese (e riassunte) da un articolo di Julia
Rosen, la risposta è la seguente: dipende da come agiamo per affrontare il cambiamento climatico. Se
continuiamo così entro la fine del secolo farà troppo caldo per uscire all’aperto durante le ondate di
calore in Medio Oriente e in Asia meridionale. La siccità colpirà l'America centrale, il Mediterraneo e
l'Africa meridionale. E molti Paesi insulari e aree a bassa quota, dal Texas al Bangladesh, saranno toc-
cati dall'innalzamento dei mari.
Al contrario, il cambiamento climatico potrebbe portare un gradito riscaldamento nel Midwest supe-
riore, in Canada, nei Paesi nordici e in Russia. Più a nord, tuttavia, la perdita di neve, ghiaccio e perma-
frost sconvolgerebbe le tradizioni dei popoli indigeni e minaccerebbe le infrastrutture.
In definitiva, il cambiamento climatico incontrollato probabilmente peggiorerà le disuguaglianze già
esistenti.
I Paesi nelle regioni tropicali, (in genere i meno sviluppati), saranno colpiti più duramente, pur avendo
emesso solo una piccola frazione dei gas serra che causano il riscaldamento. Già tra il 1961 e il 2000 il
cambiamento climatico sembra aver danneggiato le economie dei Paesi più poveri, mentre ha aumen-
tato le fortune delle nazioni più ricche, (le principali responsabili del problema). Ciò ha reso il divario
della ricchezza globale del 25% più alto di quanto sarebbe stato altrimenti.
Ma anche all'interno dei Paesi ricchi i poveri e gli emarginati soffriranno di più. Il cambiamento climati-
co infatti ha contribuito a favorire la migrazione umana, che si prevede aumenterà in modo significati-
vo. E luoghi considerati desiderabili dovranno affrontare il peso dei migranti climatici.
Cresceranno inoltre le probabilità di carestie multiple, che si potranno verificare allo stesso tempo in
luoghi diversi.
In aggiunta, il clima più caldo sta favorendo già ora la diffusione di malattie infettive e dei vettori che le
trasmettono, come zecche e zanzare.
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